EMBASSY PAVILION BOOK




IL SETTIMO SESTIERE
E’ difficile per uno straniero accettare che Mestre sia Venezia. Eppure lo è. Ma per i più Venezia continua ad essere solo il centro storico. Eppure Mestre è di fatto il settimo sestiere veneziano. Dopo Cannaregio, Castello, San Marco, Santa Croce, Dorsoduro e San Polo ecco Mestre anello di collegamento con il contemporaneo. Un legame tra passato e futuro, di striscio il presente. Non è certo soltanto un vezzo amministrativo. A Mestre scorrono sangue e cultura francamente veneziana e basta raggiungere la sua piazza per percepire l’odore della laguna su cui galleggia la città. Del resto pochi chilometri e un ponte costruito dagli uomini non possono costituire un limite invalicabile. Le frontiere politiche possono essere rigide ma quelle dei popoli sono sempre mobili e fluide. Del resto Mestre nota come la città mai nata ha in realtà un qualcosa che ricorda per certi versi la Parigi prerivoluzionaria dove gli abitanti dei singoli quartieri non erano coscienti di appartenere ad un’unica città. Mestre deve essere considerata a tutti gli effetti il settimo sestiere di Venezia e non certamente un’altra identità. E’ il sestiere dove il mondo contemporaneo può essere libero di agire nonostante una volontà amministrativa arretrata che tende a considerare solo il centro storico. Una disarmonia che impedisce a Mestre di divenire anche un laboratorio per l’arte contemporanea e per una nuova architettura che non la limiti solo a edilizia speculativa. Per qualcuno è forse chiedere un po’ troppo. E allora a causa dei piccoli interessi o della semplice ignoranza, oggi, come già accaduto in passato, si rischia di non investire nel futuro. Tutto il nostro operare ci ha sempre portato invece a credere in un futuro migliore e soprattutto realizzabile. In particolare nel settore della cultura e dell’arte. Non abbiamo abbandonato la nostra città. Mai. Mai abbiamo avuto dubbi che ne fosse valsa la pena. Noi già ci credevamo quando negli anni 80 abbiamo creato il movimento Itinerari 80 e abbiamo cominciato a fare, non aspettando alla finestra condizioni ottimali. Se ci guardiamo indietro ci accorgiamo del molto lavoro svolto e delle energie investite. Le braci di quei lontani anni continuano a rinnovare l’incendio. E’ in questa ottica che è stata inaugurata l’Ambasciata di Venezia e l’abbiamo già spiegato il 21 novembre 2004 in quella occasione. Da allora è sempre stata un punto di riferimento per la Repubblica degli Artisti e per la cultura più in generale. Noi non accettiamo una Venezia svilita a parco divertimenti per turisti superficiali ma vogliamo una Venezia che si riappropri di un ruolo culturale che le è quello più naturale. Non può puntare sulla grande industria e non può puntare su una fetta di mercato economico che le sarebbe più difficile conquistare. Ma non le restano solo le antiche pietre e la necessità di proteggere una storia che rasenta la leggenda, una leggenda che si trasforma in poesia epica. Una poesia epica che purtroppo vede esclusa la terraferma. Una situazione che  abbiamo sempre documentato nei suoi vari momenti. Noi non siamo quelli che  solo vogliono ma quelli che fanno investendo intelletto e risorse in un sogno capace di trasformazioni concrete. Non è un controsenso linguistico.
                                                                            Giancarlo Da Lio
      THE SEVENTH SESTIERE

Accepting that Mestre is part of Venice might be difficult for a foreigner. And yet Mestre is indeed part of Venice, even though the old town mostly comes to mind when one thinks of Venice. As a matter of fact, Mestre is the seventh sestiere, which means the seventh Venetian district. In addition to Cannaregio, Castello, San Marco, Santa Croce, Dorsoduro e San Polo, Mestre represents the link with the contemporary world. Mestre links the past to the future by just slightly touching the present. Considering Mestre as part of Venice is not just a form of affectation by the local administration. Quite the opposite: genuinely Venetian blood and Venetian culture are pulsating in this part of the city. The scent of the lagoon where Venice is floating can be perceived as far away as from Mestre´s square. All in all, a few kilometres of distance and an artificial bridge cannot provide an insurmountable barrier. Political borders might be fixed, yet borders among people are always fluid and in motion. Mestre has often been defined as an unborn city. In its incompleteness, it reminds of Paris before the Revolution, where the residents of different districts were not aware of belonging to the same city. In the same way, Mestre deserves to be recognised as the seventh sestiere of Venice rather than an independent entity with an identity of its own. Contemporary world has the opportunity to freely develop in the seventh sestiere in spite of the fact that the local administration seems to exclusively take in consideration the old town in its cultural policy. This unbalance within the city administration prevents Mestre from becoming a workshop for contemporary art and an area where new architecture can substitute real estate speculation. Such expectations might be considered too ambitious. Yet today (as in the past) the risk is that investments in the future of the city are put aside in favour of profitable speculations or simply due to bare ignorance. What we have been doing so far has persuaded us that a better and doable future is possible in this city, especially in the cultural and artistic fields. We have never abandoned our city. We have never doubted that this was worth an effort. We believed in the potential of Mestre already when we founded the movement Itinerari 80 and started to organised happenings without waiting for better days. If we look back, we realise that we invested a lot of work and energy so far. The embers of these past days are still stoking the fire. The Embassy of Venice was founded in this spirit, as we pointed out during the opening on 21 November 2004. Since then, the Embassy has always been a point of reference for the Republic of Artists and on a cultural level on the whole. We are against the image of Venice as an amusement park for shallow tourists. We want Venice to take up its natural cultural role. Venice can neither invest on industry nor afford demanding economical ventures. Nevertheless, there are other challenges left than just preserving Venice stones and protecting the historical heritage of Venice. Venice’s history is turning into epic poetry, but it unfortunately leaves the mainland out of this poetic narrative. We have always tried to expose this situation. We do not limit ourselves to wish things, but we bring contemporary art directly to Mestre. We invest our intellect and our resources into a dream that it is triggering a transformation. And this is no wordplay.

                                                                Giancarlo Da Lio

LASSU’ QUALCUNO CI AMA
Per me era un bel divertimento. La mia mamma non mancava di visitare la Biennale. Il babbo era sempre impegnato con il lavoro. Lei ed io prendevamo il vaporetto perché abitavamo al Lido e facevamo traghetto fino ai giardini. Per mano tra la folla visitavamo i padiglioni nazionali ed io mi divertivo a vedere tutte quelle cose anche un po’ strane ma che mi affascinavano. Ero molto piccola, ho iniziato a visitare la Biennale forse ancora prima di andare a scuola. Era la seconda metà degli anni 50, anni di gran fermento non solo artistico, che avrebbero visto nel 1964 la gloria della Pop Art. Il tempo era bello, tempo caldo di inizio estate; per tutta la stagione si continuava a parlare di cosa aveva stupito di più tra le opere presentate e anche di quelle che puntualmente avevano scatenato uno scandalo culturale. A Venezia ne parlavano tutti, tutti commentavano dalla televisione ai quotidiani locali, dai gruppi di amici alle persone per strada. La Biennale faceva parlare addetti e non. Era per la città il tema dell’estate. Ad ogni edizione tutti erano stupiti e alla fine si ponevano sempre il quesito se quanto presentato ed esposto ai Giardini fosse arte. Io ascoltavo, ma in vero quelle opere di cui si parlava e che io ero lieta ed orgogliosa di aver visto e condiviso, mi erano proprio piaciute, mi avevano soprattutto colpito, e non capivo perché i grandi le criticassero così tanto, anzi alla fine le contestavano un po’, forse molto. Forse faceva parte del gioco. Gioco di contestazione che il babbo amava. La mia mamma taceva, ma non ha mai perso l’occasione di vedere, frequentare, leggere. Il suo spirito critico probabilmente per prudenza lo manifestava solo a me, forse a pochi altri. Durante le ultime edizioni della Biennale le sue gambe non l’hanno più portata ai giardini. Dovevo renderle conto di quanto avevo visto e cercare di farlo vedere anche a lei attraverso i miei occhi. Ecco perché quando organizzavamo una mostra in Ambasciata di Venezia o in Garage N.3 Gallery era felice perché poteva partecipare direttamente. Non ha perso nemmeno un minuto del World Pavilion nel 2009 e del Poesy Pavilion nel 2011, di questi incontri internazionali che lei chiamava anche feste. Non aveva torto. Questo Padiglione aperto non è solo un contenitore di opere d’arte, ma un momento di incontro di artisti di vari paesi che sono accomunati dalla condivisione di idee positive e costruttive. In questo Embassy Pavilion mancherà un po’ a tutti perché è stata una presenza costante, scontata, imprescindibile ed un riferimento agglutinante per tutti coloro che amano l’arte e che di abitudine frequentano l’AMBASCIATA DI VENEZIA.
                                                                   Tiziana Baracchi
SOMEBODY UP THERE LIKES US
The Venice Biennale has always meant a lot of fun to me. My mum never missed to visit the International Art Exhibition in Venice. When my dad was at work, we took the waterbus at Lido, where we used to live, and we ferried to the stop of the Giardini della Biennale. She held my hand and together we visited the pavilions. Seeing all those things meant a lot of fun to me. They might have been slightly weird, but they fascinated me. I was really young at that time, I might have started to visit the Biennale even before I started to go to school. It was the second half of the Fifties, a time of great turmoil – not only artistic – which was going to blossom into the glory of Pop Art in 1964. The Biennale started always at the beginning of the summer, when the weather was nice and warm. During the whole season people would keep on talking about the exhibited works and especially about those which had triggered a cultural scandal. In Venice, everybody was speaking about such things, everybody from the television to the local press, from groups of friends to people talking on the street. It was the summer topic in the city. Everybody was amazed or astonished in the beginning and, in the end, the debate always turned into the same question: were those things exhibited at the Giardini real art? I was always listening to these comments, but in fact I indeed liked those works that were so much talked about and that I had the pleasure and the pride to see and share with others. Those works had struck me, and I could not understand why adults were always discussing them, sometimes by even slightly – or maybe deeply? – criticising them. Maybe it was part of the game. My dad liked to question things a lot. My mum did not say anything, but she never lost the opportunity of seeing things, reading, visiting exhibitions. She cautiously showed her critical sensibility just to me and maybe a few other people. During the most recent editions of the Biennale her legs would not make it as far away as the Giardini. I had to tell her what I had seen and try to make it visible for her through my own eyes and words. This is the reason why she was so happy when we organised an exhibition at the Embassy of Venice or at the Garage N. 3 Gallery: in those occasions, she once again had the opportunity to directly take part to an artistic event. She did not miss a second of the World Pavilion in 2009 and of the Poesy Pavilion in 2011. She used to call these evens “feasts” and she was not so far from the truth. This open pavilion is not barely an art exhibition, but an occasion where artists from different countries can meet and share positive and constructive ideas. We are going to miss her during this edition of the Embassy Pavilion. She was a constant, given and essential presence, who contributed to put together those art-lovers who visit the Embassy of Venice. Therefore we want to dedicate this book to her memory.
                                                                    Tiziana Baracchi

MISCELLANEA di OPERE FATTE PER AMBASCIATA DI VENEZIA

Guido BONDIOLI


Maschera, 2001
polimaterico 10 x 15 cm 
E’ difficile catalogarlo sotto il nome di una nazione. Partecipa al circuito internazionale della Mailart da decenni prevalentemente dal Guatemala con scorribande dall’Arizona, suo paese per nascita e formazione. Un novello Lafayette del network che combatte sempre nel nome della libertà d’espressione. E forse il vivere in paesi diversi che rafforza concretamente la sua poetica.

Mark CORROTO
Visual Poetry, 1993
cartolina 11 x 14 cm
Opere per non dimenticare un passato prossimo che per i più risulta remoto. Remoto poiché si tende a vivere senza memoria. Così l’opera di Fa Ga Ga Ga ci parla di un’epoca in cui il computer era solo agli inizi. Dove ancora la poesia visiva veniva realizzata con sistemi più artigianali ma che richiedevano quella manualità che troppo spesso tendiamo ad accantonare a favore di un semplice click.
R. F. CÔTÉ
Cromie, 2004
polimaterico 16 x 10 cm
Forse è la vastità del territorio che fa sentire ai suoi abitanti il desiderio di incontrare altri uomini. Ci si sposta a cavallo, in automobile, in aereo ora anche attraverso la Mailart. Infatti è così che R.F.Côté comunica con l’altra parte del mondo non soltanto usando messaggi artistici ma soprattutto messaggi umani. E’ per questo motivo che è passato dalla comunicazione personale attraverso il formato cartolina ad essere il traghettatore di messaggi altrui attraverso una rivista dal titolo profetico di Circulaire.
Laura CRISTIN
Performance, 2011
L’elemento primordiale dell’acqua già nelle sue prime opere e il fondersi  tra cielo e terra rappresentano il suo modo di essere. Ora dopo tanto viaggiare la Sirena ha raggiunto una condizione di stabilità e di maturità che fa vedere con altri occhi il borgo natio. E’ meno selvaggio poiché è consapevole che al di là dei confini c’è una nuova realtà e non solo il nulla.
Daniel DALIGAND
Ambasciata di Venezia, 2011
Mister Topolino ritorna all’Ambasciata di Venezia, non per mettersi in vetrina ma per partecipare attivamente ad un’idea che ha visto produrre continui frutti in questi ultimi decenni. La sua presenza arricchisce il nostro operare con sempre qualcosa di diverso. Un’operare senza frontiere come sempre auspicato dal movimento Itinerari 80 sin dalla sua nascita e che ci aiuta a crescere.
Marc de HAY
Stardust Memories, 2001
tecnica mista 15 x 11 cm
Qualcuno ha parlato di stelle fredde ed altri di stelle fisse ma Marc de Hay sembra appartenere alla categoria della polvere di stelle. Il suo moto lungo un breve tratto del parallelo dell’Europa del Nord lo porta ad evitare spostamenti che potrebbero cambiare le sue caratteristiche. Tutto questo potrebbe farci parlare di una nuova categoria, quella delle stelle timide o meglio delle stelle sensibili. Una nuova linea di orizzonte che ci porta a nuove visioni.

Arturo FALLICO
Simboli, 1993
xeroart 11 cm
Un’ operare che ci ricorda l’incontro della copy art con la Mailart. Un incontro con una riproducibilità dell’opera a basso costo di stampa che non ha visto il superamento dell’arte seriale per tempo e contenuti. L’ epoca delle forbici, carta e colla non è ancora stata dimenticata ma solo sorpassata dal computer e dalla stampante. Un’evoluzione che ha visto protagonista la macchina fotocopiatrice.


Mayumi HANDA

Venezia 2007
L’arte del capello potrebbe essere considerata da un occidentale solo come una semplice strategia. Ma per Mayumi Handa è un valore aggiunto legato alla religione tradizionale scintoista, la più antica del Giappone che vede nella cerimonia della purificazione un momento essenziale per conciliarsi con il mondo delle divinità e degli antenati. Un atto religioso che si continua in un atto artistico con una sua diversa rivisitazione.
Luigi STARACE

Mailart Stigma, 2012 
Ha riconosciuto nella Mailart una valenza di arte sociale che va oltre il semplice valore estetico. Un’arte che gli è servita ad evidenziare il fenomeno dello Stigma all’interno della malattia mentale. Un problema ancora da risolvere sotto tutte le latitudini. Importante è attraverso la riflessione arrivare almeno alla consapevolezza.


Ed inoltre Anna Boschi, Michel Della Vedova,Marcello Diotallevi, Piet Franzen, György Galántai, Gabriella Gallo, Claudio Grandinetti, PWK, Tinamaria Marongiu,  Pascal Minart, Rémy, Pénard, Cheryl Penn, Walter Pennacchi, Barry Edgar Pilcher, Hugo Pontes, Paola Rivabene, Claudio Romeo, Gianni Romeo, Roberto Sanchez, Roberto Scala, Renato Sclaunich, Roberto Sechi, Shmuel, Salvatore Starace, Kurt Stiliachus, Ptrzia Tictac. 
 


presentano
ARTISTAMPS
FRANCOBOLLI D’ARTISTA

artisti partecipanti:

ITALIA Tiziana Baracchi - Marcello Diotallevi - GaMa FoGa - Roberto Sanchez 
AUSTRIA Helmut King
CANADA Dale Roberts
GERMANIA  Peter Küstermann - Angela Pähler - Petra Weimer
OLANDA Ko De Jonge - EverArts
RUSSIA Yuri Gik
USA Reed Altemus - Keith Buchholz - Ginny Lloyd

a cura di  Giancarlo DA LIO e Roberto SANCHEZ

dal 7 maggio al 7 luglio 2013

Museo Minimo  via detta San Vincenzo, 3 (angolo via Leopardi, 47) I-80125 NAPOLI ITALIA

POLVERE DI STELLE
Per un mailartista il Francobollo è quasi una pietra miliare. Ognuno è libero di esprimersi come gli è più congeniale, ma la creazione di un francobollo proprio costituisce quasi una necessità nel cammino nel circuito internazionale. Da decenni si hanno produzioni personalizzate, di nazioni virtuali, di paesi inesistenti, di luoghi fantastici. Possono essere prodotti manualmente in dimensioni diverse in genere molto piccole ma che non sono miniature: in tutto e per tutto simulano i francobolli dei paesi dell’Unione Postale. Possono essere anche grandi, ma in genere le dimensioni rimangono all’interno del formato del foglio. Per creare questi piccoli multipli oltre alle tecniche usuali ci si è serviti anche della fotocopiatrice, strumento in voga alla fine del secolo XX tra artisti che hanno così codificato la xeroart, corrente percorsa spesso inconsapevolmente da creativi che sperimentavano questa tecnica poco conosciuta ed utilizzata nel mondo dell’arte. Nel nuovo Millennio la capillare diffusione dell’uso del computer ha preso piede anche nella creazione di questo tipo di realizzazione artistica che non poteva che esserne influenzata positivamente. Non mancano le disquisizioni accademiche per definire la validità di tali tecniche. Il nuovo troppo spesso spaventa o forse crea solo utile scompiglio. L’acqua che è passata sotto i ponti nel XX secolo dovrebbe aver definitivamente decretato la disfatta del binomio arte pennello. Sicuramente Michelangelo non avrebbe usato lo scalpello se avesse avuto a disposizione il martello pneumatico. Leonardo stesso è sempre stato alla ricerca di nuovi congegni. Del resto quel che più conta nel creare qualsiasi opera non è lo strumento usato ma l’idea che si realizza. Anche il timbro è pane quotidiano per chi opera nella Mailart e quindi il problema dell’annullo non sussiste per chi desidera arricchire i francobolli. Unico vero scoglio internazionale è la perforazione cui molti hanno rinunciato sorvolandola o usandone una digitale. Ma il possesso di un perforatore o la possibilità di utilizzarne uno, rimane un vanto per ogni creatore di Francobollo d’Artista.
                                                                              Tiziana Baracchi

ARTISTAMPS
Lo spirito Fluxus è ritornato al Museo Minimo con una mostra di Artistamps, lavori che mantengono tutta la dignità dell’opera d’arte racchiusa nelle piccole dimensioni che per certi versi ci ricordano le antiche miniature senza esserlo. Alcuni pubblicizzano un evento e altri lo spirito artistico dell’autore ma tutti sono fantasiosi e spesso più belli di quelli delle poste ufficiali. In questa raccolta troviamo una piccola selezione di autori che hanno deciso di operare anche in questo settore così caro all’ambiente artistico d’oltre oceano. Anche gli artisti europei sono stati contaminati aderendo di fatto a questo genere che affascina per la possibilità di trattare una svariata quantità di temi ma soprattutto come veicoli minimali di un messaggio di libertà. Forse gli Artistamps nel pericolo di una imposizione del pensiero unico costituiscono il più grande e semplice sistema di critica. Una nuova sfida da parte di Roberto Sanchez che con il suo Museo Minimo continua ad essere portatore di globalizzazione artistica in una città che non ha mai voluto arrendersi alle piccole tradizioni del convenzionale.
                                                                             Giancarlo Da Lio